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Sindrome di Marfan

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Che cos'è la sindrome di Marfan

E’ una malattia genetica rara che colpisce i tessuti nei quali il sostegno strutturale fondamentale è il connettivo. Come tale è quindi una malattia sistemica (sono colpiti più organi e tessuti) che presenta un elevato grado di variabilità individuale. Le manifestazioni cliniche ricorrenti nella MFS sono a carico dell’apparato scheletrico (l’iperstaturalità è tipica anche se non obbligata; ricorrono la scoliosi, il piede piatto, lo sterno incavato o carenato); dei vasi in particolare dell’aorta (dilatazione o aneurisma), e delle valvole cardiache (prolasso), dell’apparato oculare (per es. la miopia > 3 diottrie è la più frequente, ma la lussazione del cristallino è la più tipica), dell’apparato integumentale (cute in particolare), nervoso (dilatazione del sacco durale) e respiratorio (pneumotorace). Ciascuna manifestazione clinica può avere livelli di gravità diversi, da lieve a severa. Tra tutte le manifestazioni cliniche, quelle che pesano maggiormente nella storia naturale della malattia sono quelle cardiovascolari, l’aneurisma aortico in particolare. Tuttavia, quando riconosciute, tutte le problematiche cliniche possono essere opportunamente gestite e trattate: l’attesa di vita di un paziente con MFS può essere simile a quella della popolazione generale.

Chi colpisce?

La prevalenza è di 1:5000 soggetti. Si manifesta già nell’età pediatrica, quindi, anche se in forma lieve, alcune caratteristiche della malattia possono comparire nel bambino nel quale è possibile effettuare una diagnosi precoce.

Chi fa la diagnosi?

La diagnosi è formulata dal pediatra nell’età infantile e, a seconda delle manifestazioni cliniche, può essere sospettata dall’ortopedico, dall’oculista, dal cardiologo o dal genetista clinico cui spesso i pazienti con elementi di sospetto vengono indirizzati. Dal momento del sospetto clinico alla diagnosi clinica definitiva sono operativi i gruppi multidisciplinari, ovvero specialisti in diverse discipline mediche che, insieme, elaborano la diagnosi clinica. Esistono regole precise (criteri diagnostici integrati in uno score) sulla base delle quali la diagnosi clinica viene raggiunta valutando il coinvolgimento dei diversi organi ed apparati. A questa segue il test genetico che si rivolge al gene Fibrillina 1 (FBN1) nelle forme classiche di malattia.

Chi segue i pazienti?

In generale, i pazienti sono regolarmente seguiti da gruppi clinici costituiti dai diversi specialisti che già intervengono nel percorso diagnostico. Pur esistendo regole generali, il piano di monitoraggio e le scelte terapeutiche devono essere personalizzate per garantire la gestione ottimizzata di ogni singolo problema clinico sulla base delle sue caratteristiche e gravità, e, nel contempo, la protezione dall’eccesso di ricoveri ospedalieri o di accessi all’ospedale, quando non siano necessari. In generale il monitoraggio multidisciplinare (clinico generale, cardiologico, ortopedico, oculistico, eventualmente neurologico o con altre specialistiche se e quando necessario) viene eseguito nel corso di un unico accesso periodico al centro di riferimento, in regime ambulatoriale. Il ricovero ospedaliero può rendersi necessario per interventi chirurgici. Deve esistere un coordinamento di tutte queste attività cliniche; i centri di riferimento offrono questo coordinamento. La regolarità del monitoraggio, in genere annuale, è importante per garantire un’attenta valutazione della progressione dei diversi problemi clinici e per decidere quindi nei tempi opportuni, le migliori

Quali sono le cause?

La MFS è causata da difetti –mutazioni – del gene FBN1. Spesso si parla di malattie Marfan-simili, ovvero di disordini che possono somigliare alla MFS ma che di fatto sono malattie diverse. Nel 75% dei casi la MFS è familiare e trasmessa con modalità autosomica dominante: questo significa che un genitore affetto ha 50% di probabilità di trasmettere la sua malattia ad ogni figlio. Nel rimanente 25% dei casi, la MFS si presenta de novo: la mutazione in FBN1 compare per la prima volta nel paziente affetto. I genitori risultano non portatori  e non affetti. Nelle forme famigliari accertate, il test genetico prenatale consente di verificare se la mutazione del genitore affetto è stata trasmessa al feto; si esegue di solito al terzo mese di gravidanza. Il test genetico può, in alternativa, essere effttuato dopo la nascita.

I criteri diagnostici

Sul piano clinico la diagnosi si ottiene integrando i diversi aspetti della malattia a livello dei diversi organi/apparati.

In presenza di familiarità positiva (ovvero nella famiglia c’è un membro affetto accertato) la diagnosi si ottiene se:

In assenza di familiarità positiva (nella famiglia nessun membro presenta MFS) la diagnosi si ottiene se:

Dilatazione della radice aortica (con misura normalizzata: z-score ≥2 in soggetti con ≥20 anni o ≤3 in soggetti con ≥20 anni) e questa è associata a

Dilatazione della radice aortica (con misura normalizzata: z-score ≥2 in soggetti con ≥20 anni o ≥3 in soggetti con ≤20 anni) e questa è associata a

·   Lussazione del cristallino oppure

·   Lussazione del cristallino oppure

·   Mutazione in FBN1 oppure

·   Mutazione in FBN1 oppure

·   Score sistemico ≥7.

·   Score sistemico ≥7.

Lussazione del cristallino, mutazione in FBN1 e dilatazione aortica.

Q&A

I farmaci devono essere prescritti dal medico. Quelli più frequentemente utilizzati sono i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori e gli inibitori del recettore dell’angiotensina II. Nessuno cura la malattia (il difetto genico non è correggibile). La loro assunzione tuttavia può contribuire a ridurre lo stress emodinamico sulle pareti aortiche.

In genere si considera il diametro della radice aortica di 50mm come il confine da non superare perché da queste dimensioni in poi può iniziare il rischio di rottura/dissecazione. Tuttavia questa indicazione non basta: è necessario anche valutare la rapidità della progressione della dilatazione, la simmetria dei seni di Valsalva (immagini ecocardiografiche), la possibile presenza di bicuspidia aortica. Parliamone.

Gli interventi ortopedici più frequenti sono quelli che correggono le anomalie dei piedi e la scoliosi. E’ importante essere seguiti regolarmente dallo specialista con il quale vanno discussi i tipi d’intervento e la tempistica. Operare troppo precocemente o tardivamente può non portare agli effetti desiderati.

Questo intervento può essere eseguito con o senza l’inserimento del cristallino artificiale. E’ molto importante che sia l’oculista di fiducia che, conoscendo l’evoluzione nel tempo dei problemi degli occhi in ciascun paziente, consiglierà al meglio il momento ed il tipo di intervento.

L’assunzione di farmaci andrebbe indicata e controllata dal medico. Pur essendo possibile e comprensibile che sia occasionalmente necessaria, va sentito il proprio medico per decidere il tipo di farmaco e la modalità di assunzione.

Una delle possibili complicanze nella MFS è proprio la condizione (pneumotorace) in cui una bolla sotto la pleura (rivestimento del polmone) si rompe e l’aria entra nella cavità toracica. Questo evento può essere doloroso ma non è pericoloso. E’ bene rivolgersi al pronto soccorso che, a seconda dell’ospedale cui si accede, indirizzerà verso il reparto specialistico adeguato per il trattamento.

Lo sport agonistico non è indicato, mentre è consentita attività fisica dolce che non renda percepibile lo sforzo.

  1. Se nella coppia la persona affetta è la madre si può avere un doppio rischio: a) quello che la riguarda personalmente e che dipende dalle sue condizioni cardiovascolari: abbiamo programmi dedicati alla gravidanza nella MFS in cui cardiologo, genetista, ostetrico-ginecologo, anestesista e neonatologo collaborano per sostenere le decisioni di tutte le pazienti, sia operate che non operate; b) quello di trasmissione della malattia: il rischio è 50%. In gravidanza possono essere assunti solo i beta-bloccanti mentre devono essere immediatamente interrotti gli ACE-inibitori e gli inibitori del recettore dell’angiotensina II. Per altri eventuali farmaci è necessario rivolgersi sempre al medico di fiducia.
  2. Se nella coppia la persona affetta è il padre, c’è solo il rischio di trasmissione. La coppia può decidere di intraprendere la diagnosi prenatale rivolgendosi al team multidisciplinare di riferimento.